Oggi è l’otto marzo e vogliamo festeggiarlo ricordando un’icona di grazia e bellezza per i suoi contemporanei.
Forse sembra strano parlare di bellezza femminile in un giorno che ha come scopo rivendicare un’oggettiva parità. Ma crediamo che noi donne dopo secoli in cui abbiamo dovuto seguire ordini e canoni dettati dalla società dobbiamo essere innanzitutto libere di fare ed essere ciò che vogliamo. Per cui celebriamo la nostra bellezza e unicità.
Definita dai contemporanei la “Venere vivente”, si chiamava Simonetta Vespucci e fu il volto più celebre del Quattrocento.
La sua prodigiosa bellezza ne fece la musa ispiratrice dei maggiori artisti della cerchia di Lorenzo il Magnifico, da Piero di Cosimo, al Verrocchio, al Ghirlandaio, a Filippo Lippi, a colui che del Rinascimento fu tra i sommi interpreti: il Botticelli.
Simonetta nacque a Genova nel 1453 dal nobile casato, in declino, dei Cattaneo.
Compiuti i 16 anni sposò Marco Vespucci, proveniente da una stirpe di banchieri fiorentini.
Contrariamente al disinteresse che normalmente caratterizzava i matrimoni combinati tra famiglie nobili, si narra come lo sposo fosse sinceramente innamorato.
Si trasferirono a Firenze, e in virtù degli ottimi rapporti tra le loro famiglie, Lorenzo il Magnifico e suo fratello Giuliano accolsero gli sposi a Palazzo Medici e organizzarono in loro onore una sontuosa festa nella villa di Careggi. Da quel momento in poi la coppia partecipò costantemente alla vita di corte in un crescendo di feste sfarzose e di ricchi banchetti.
Tutti i giovani più in vista di Firenze furono conquistati dalla grazia di Simonetta, primo tra tutti il fratello minore di Lorenzo, l’affascinante Giuliano che divenne, forse, il suo amante.
Celebre per le numerose descrizioni arrivate a noi fu un torneo cavalleresco del 1475, che passò alla Storia come il “Torneo di Giuliano”.
Il palio per cui disputavano i contendenti venne descritto come uno stendardo, forse eseguito dal Botticelli, che raffigurava Simonetta nelle vesti di Atena con i piedi poggiati su di un ramo di ulivo ardente, con il motto francese “La Sans Par”, “l’Incomparabile”. All’ulivo, invece, era incatenato un Cupido dall’arco spezzato. L’intera composizione rimandava al tema dell’amor cortese, per cui la donna amata era considerata irraggiungibile. Così era Simonetta per tutti i suoi adoratori: irraggiungibile. Purtroppo la donna morì l’anno dopo a soli 23 anni a causa della tisi o per la peste, secondo altre fonti.
Si dice che dopo la morte della Vespucci, Giuliano non amò più nessun’altra. Venne poi ucciso nella Congiura dei Pazzi due anni dopo.
Ma non fu l’unico a piangerla, Lorenzo il Magnifico dopo aver osservato una stella luminosissima nella notte, pensò che fosse l’anima della giovane salita in cielo ad arricchire il firmamento e compose il primo sonetto del suo “Comento”.
“O chiara stella che co’ raggi tuoi / togli alle vicine stelle il lume / perché splendi assai più del tuo costume?…”

Il funerale fu a volto scoperto onore eccezionale per i tempi riservato solo ai cavalieri.
Come detto all’inizio fu tuttavia la pittura a rendere eterna la Vespucci, malgrado ella non posò mai per un dipinto, dato che per una dama del suo rango posare sarebbe stato giudicato contrario al decoro. Solo nel Cinquecento divenne più comune per le donne altoborghesi farsi ritrarre da un artista.
Si ritiene pertanto che Simonetta Vespucci sia stata effigiata nella Nascita di Venere; nella Primavera, come la dea Flora; e come Venere nel dipinto Venere e Marte.
Dipingendola quasi ossessivamente anche dopo la sua morte, Botticelli ne fece un archetipo di bellezza dall’aria raffinata ed elegante che sfida i secoli e che ancor oggi ci fa associare il suo volto ai canoni estetici del Rinascimento.

Ritratti postumi ispirati a lei sono anche un busto marmoreo attribuito al Verrocchio e il dipinto perduto “l’Educazione di Pan” di Luca Signorelli del 1490, che testimoniano l’insorgere di una sorta di culto di Simonetta nel mondo dell’arte negli ultimi decenni del Quattrocento.
A poche donne del Rinascimento furono tributati tanti riconoscimenti dai contemporanei.
Forse il segreto sta proprio nella sua prematura morte e nella permanenza della sua bellezza che non arrivò a sfiorire.
Botticelli, Ritratto di giovane donna, 1475 circa, conservato presso la Galleria Palatina di Firenze. Botticelli, dettaglio di Venere e Marte, dipinto nel 1483, National Gallery di Londra