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Donne lavoratrici nel Seicento

Abbiamo più volte accennato al Seicento come a un secolo violento che ha sempre strenuamente ostacolato l’affermazione delle donne. Gli studiosi dicono che questo è stato anche a causa delle lunghe guerre di religione che avevano per anni insanguinato l’Europa, al tempo delle quali il genere femminile era quello più minacciato.

Vogliamo tracciare però alcune linee guida per raccontare in quale contesto vivessero le donne dell’epoca, partendo dalle classi più modeste delle lavoratrici.

Stando alle leggi dell’epoca sembra quasi che le donne non potessero lavorare in proprio. 

Risulta che solo alla fine del ‘600 si mise al vaglio una legge che regolarizzasse le tantissime fruttaiole-formaggiaie di Parigi, finendo poi nel nulla “è veramente cosa nuova il dire che le donne siano associate per giuramento al detto mestiere…!”

J.Beuckelaer – La fruttivendola – 1564

Le sarte parigine ottennero il riconoscimento della loro categoria soltanto nel 1675 – erano già in numero di 1700 professioniste – con il permesso di confezionare, però, solo alcune parti dell’abito femminile, perché il diritto di abbigliare in toto restava ai sarti uomini.

Velasquez – La sarta – 1657

Sono solo due esempi del mancato riconoscimento di categoria.

Ma le donne lavoravano! Lo facevano per il padre e successivamente per il marito o con il consenso del marito per qualche altro conoscente. Le donne sole, legalmente non potevano esercitare alcuna professione.

Il permesso di portare avanti le attività dei mariti era accordato solo alle vedove e alle loro figlie, salvo se accusate durante la vedovanza di “cattiva condotta”.

Dunque cosa facevano tutte le altre, oltre ad andare a servizio o prostituirsi? 

Beuckelaer – Scena di bordello – 1562

Aggiravano i regolamenti, producevano in casa quello che non avrebbero potuto produrre in un regolare “laboratorio”, facevano da prestanome, ad esempio, ai mercanti ebrei, quando questi vennero estromessi da alcuni commerci. 

La maggior parte di queste donne lavorava nel settore alimentare, perché nessuna legge per fortuna vietava di recarsi in un mercato e di vendere quel che producevano. Immaginiamo gli ortaggi del loro orto, torte o altri piccoli pasti da asporto, ma anche merletti o altri piccoli lavori artigianali…

Nota interessante: Louis XIV concesse alle donne titolari di bancarelle al mercato, le regrattières, il pagamento di una tassa ridotta rispetto al “diritto di banco” pagato dai colleghi uomini, mentre le venditrici che portavano a spalla il loro banchetto-inventario potevano addirittura essere dispensate da tale tassa.

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Vincenzo Campi – La venditrice di frutta
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Beuckelaer – Scena di mercato – 1574

Un riferimento va fatto alle pescivendole che dai tempi di Carlo V (1338-1380) erano oggetto di editti che vietavano loro di pronunciare ingiurie, giustificando dunque il detto “imprecare come una pescivendola”. Erano tra le lavoratrici passate alla storia come le più spregiudicate e aggressive, forse per l’ovvia difficoltà di lavorare con una merce così deperibile e sottoposta a rigidissimi controlli. La riduzione della tassa sul banco la ottennero prima delle altre venditrici, assieme al privilegio di andare in gruppo a porgere gli omaggi alle loro Maestà in occasione della nascita di un Delfino, approfittando anche di una cena nel palazzo reale.

Beuckelaer – Il banco del pesce

Una parola anche per le contadine, che svolgevano uno dei lavori più faticosi: due di queste si arruolarono sotto mentite spoglie con i nomi di Antoine de l’Espérance e Pierre La Jeunesse e fecero la guerra per nove anni: la prima raggiunse il grado di tenente!

Le donne straordinarie c’erano; molte altre erano straordinarie nella quotidianità.

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